Rappresentazioni dell'abitare nei film

Se gli studi sul rapporto tra città e cinema abbondano, l'analisi della rappresentazione della casa, primo luogo identificativo dell'abitare, merita di essere ampliata.
Il cinema ha da sempre dedicato particolare cura agli interni, siano essi studi di posa o location reali, in quanto luoghi in cui il lavoro è sottoposto al totale controllo da parte della troupe e della produzione. Ma il problema che ci interessa da qualche tempo è scovare le conseguenze della dimensione abitativa, del nostro "essere per lo spazio", sulla costruzione scenografica del film, e, reciprocamente percepire le esigenze della composizione iconografica, con tutte le sue implicazioni significative ed estetiche, imposte allo spazio domestico.
In quest'ottica, la riflessione sviluppata da Inaki Abalos, rinominato "architetto spagnolo", ne Il Buon Abitare. Pensare le case della modernità offre un'originale possibilità di fruizione negli studi cinematografici.
Mettendo in relazione le modalità dell'abitare con i pensieri filosofici e sociologici moderni, Abalos descrive una serie di archetipi di case, alcune reali, alcune immaginarie. Ogni casa testimonia un abitare diverso e caratteristico, che dovrebbe essere in grado di suscitare spunti e critiche, e di migliorare la qualità dei modi di vedere e di vivere la casa.
Attraverso i meccanismi scenografici e iconografici del film, lo spazio domestico viene caratterizzato, pur riferendosi necessariamente a una realtà più complessa e variegata che occorrerà chiarire. Se il libro di Abalos incita a migliorare l'immaginazione delle abitazioni e i loro abitanti, l'immaginario cinematografico può a sua volta aiutare la comprensione delle tematiche sociologiche e architettoniche relative all'abitare. E' la porta aperta di una stanza buia che vorremmo varcare, per tentare di porvi qualche lume.

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